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Winchester Pub: a Legnago il pub-cattedrale di Edik Lunardi.

Winchester Pub /chiuso nel 2018/ _ Stazioni di Birra _ archivio 2018

Carabine in giro non se ne vedono… tanto più Winchester. Birre, però… quante ne vuoi: alla spina, in bottiglia e in lattina; di birrifici nazionali e internazionali; rigorosamente artigianali e gestite al meglio. Siamo a Legnago – nel Basso Veronese – al Winchester Pub di Edik Lunardi.

Dietro alla scelta di un nome c’è sempre un perché… tanto vale iniziare da qui. Il publican sorride… poi ci spiega. «L’idea è venuta dal film L’alba dei morti dementi (Shaun of the Dead)… commedia horror di un po’ d’anni fa, dove tutto ruota attorno a un Winchester Pub alla periferia di Londra. Nel locale c’è appeso un vecchio fucile Winchester che tutti credono poco più di una vecchia ferraglia… e invece funziona e servirà eccome. Un film surreale e divertente… dove il pub scandisce, nel bene e nel male, la vita dei protagonisti».

Dalla fiction alla realtà… il Winchester Pub di Legnago apre i battenti il 27 settembre 2014. Il giovane titolare (oggi trentenne) ha studiato all’Alberghiero… e nella ristorazione decide di entrarci per davvero, con esperienze lavorative in Italia e all’estero. «Sono appassionato di buon cibo e buona cucina, ma anche di vini e distillati… e naturalmente di birre. Se non che, con l’ultimo soggiorno a Manchester, l’idea di aprire un pub ha preso il sopravvento… e nel 2013 son tornato a casa per realizzare il mio progetto» prosegue Edik.

In ogni pub che si rispetti, la birra è l’indiscussa protagonista… e il Winchester non è naturalmente da meno. Birre che il titolare definisce… “pulite” e “libere”. «’Pulite’ nel senso di naturali e autentiche… senza bisogno di pastorizzarle e senza utilizzo di stabilizzanti, enzimi, flocculanti o altro. Ma le vogliamo anche ‘libere’… vale a dire prodotte da birrifici indipendenti, che pur con qualche sacrificio credono in ciò che fanno e come lo fanno, senza alcuna necessità di diventare altro, come la costola crafty di multinazionali del beverage».

Idee chiare anche in cucina. «Ci interessa rappresentare quel mondo dello street-food che prende le distanze dal modus-operandi e dalle etichette poco lusinghiere del passato… puntando su idee che si rinnovano con semplicità, ma senza trascurare ricerca, creatività e attenzione per i dettagli» prosegue la moglie Elena.

«Nella nostra hamburgheria il valore di riferimento non può che essere la qualità delle materie prime… a partire da un pane artigianale con impasto di farine biologiche, lievitato quanto deve. La carne è 100% Black Angus americano, con la giusta marezzatura, almeno 30 giorni di frollatura, lavorata qui da noi giornalmente».

Il locale – dallo stile piuttosto british, se non addirittura “yankee” – occupa un intero edificio e si sviluppa su due livelli (!). A sinistra dell’ingresso, il bancone-bar con sgabelli a spalliera e i primi tavoli. Sul lato opposto, ancora altre sedute e un’incantevole saletta-privé, di grande atmosfera.

La scalinata centrale porta in un open space ancora più sorprendente. È il grande salotto del Winchester Pub, dove intere comitive di avventori possono occupare la loro “isola”, passando una piacevole serata insieme… nella magia di una location unica, al di là di ogni aspettativa.

Un ambiente suggestivo, stiloso, curato nei minimi particolari… comunque sostenuto da tonalità calde e avvolgenti di pareti e arcate in mattoni rossi, del soffitto con travi in legno e della pavimentazione in parquet.

L’edificio è di proprietà di famiglia ed è uno dei pochi a non essere andati giù, in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Una sorta di “struttura museale”, forse troppo bella anche solo da sfiorare… travalicando i consueti canoni della location di un’attività commerciale-ristorativa.

È un po’ come tornare alla commedia horror Shaun of the Dead, come se l’obiettivo ultimo del publican fosse proprio quello di far ruotare un piccolo-grande mondo di “protagonisti” e cultori della birra attorno al suo Winchester. Se non che l’Italia non è il Regno Unito… e il pub casa-chiesa non ha mai fatto parte – aggiungiamo purtroppo – della nostra cultura.

Si torna giù, riprendendo dimestichezza col bancone… a tu per tu con 6 spine e 3 pompe inglesi. Buona copertura di stili (ampiamente integrati dalle circa 150 referenze, in bottiglia e lattina, presenti nei frigo), con scelte che cadono su noti birrifici nazionali e non… e qualche piacevole sorpresa. Vedi, ad esempio, l’ottima Oatmeal Stout Ambranera, del Birrificio Otus di Seriate (BG)… di cui non sapevamo gran che.

La luccicante cella refrigerata, con i fusti alla mescita, è esattamente di fronte. A “spingere” le birre per tredici metri di pitone… ci pensa il carboazoto. Gas inerte, poco “invasivo”, certo… ma qualche birra – in primis alcune Lager – potrebbe perdere qualcosa in vivacità e frizzantezza.

Dettagli, solo dettagli, perché di questo pub possiamo solo dire un gran bene… anche troppo. Troppo… perché un pub così, forse non se lo merita nessuno. Non siamo a Londra, né a Berlino, né a New York. Un po’ come le cattedrali nel deserto.

Un grazie ai padroni di casa e a tutto lo staff.

[siba: best indi!]

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